lunedì 26 luglio 2010

TOY STORY 3 - Uno splendido sequel

Aspettavo al varco questo terzo e ultimo capitolo della serie di TOY STORY, saga animata in cui il mondo viene visto ad altezza giocattolo (con l'originalità di soluzioni sia d'inquadratura che di sviluppo dei personaggi che ne può conseguire).
L'aspettavo al varco perché, contrariamente a tanti sequel che gli americani ci propinano convinti che la minestra riscaldata piaccia a tutti, già da “Toy Story 2 – Woody e Buzz alla riscossa” si capiva che la Pixar era intenzionata ad offrirci ben più di un brodo annacquato.
E' questo il grande punto di forza di questi 3 capitoli: la geniale casa di animazione (la cui filmografia andrebbe vista per intero) è riuscita nella mirabile impresa di offrirci tre storie parimenti coinvolgenti, divertenti e qualitativamente notevoli senza che, all'uscita di ogni successiva pellicola, noi dovessimo rimpiangere la precedente.
La ricetta vincente della Pixar, oltre all'ottima caratterizzazione dei giocattoli animati di vita propria, sta nel far muovere i protagonisti di volta in volta in qualcosa di completamente nuovo, situazioni inaspettate che, sempre brillantemente, non mancano d'interessare ed emozionare.
Ad un ristretto gruppo di personaggi "storici" si aggiungono ad ogni episodio non più di due nuovi amici e un cattivo sempre diverso (e, soprattutto, degno di questo nome), mentre la panoramica sul mondo degli umani spesso passa dallo sguardo dei giocattoli tramite spericolate soggettive, con gradevole virtuosismo tecnico.
Pertanto, anche questo “Toy Story 3 – la grande fuga” non delude affatto e, anzi, chiude con grande maestria e sensibilità l'intera saga.
Grandiosa l'idea di spostare la scena dell'azione in un vero e proprio Paese dei Balocchi, ovvero l'asilo, dove, però, non è tutt'oro quel che luccica.
Ironiche e riuscitissime le new entry Barbie e Ken.
Succosi, gustosi e ben calibrati i dialoghi.
Intense e profonde le motivazioni che spingono gli eroi della storia alla riscossa: non solo l'amicizia leale e fedele che li lega tra loro, ma il senso radicato di appartenenza a qualcuno più grande di loro, senza cui non avrebbero motivo di essere creati, scopo e missione della loro esistenza.
Gran bella storia + gran bella qualità + gran bella regia = Gran bel film.
Buona visione.
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mercoledì 14 luglio 2010

BRIGHT STAR

Mrs. Jane Campion, col suo cinema, è grandemente abituata a tradurre le immagini in poesia.
Stavolta si cimenta con maestria nell'impresa opposta: traduce la poesia di John Keats in immagini.
E poiché la storia narra il nascere, il crescere e l'espandersi in modo esponenziale di un amore travolgente e totalizzante tra un grande poeta e la sua fulgida musa ispiratrice, il rischio di cadere nel melenso era in agguato.
Ma la Campion evita di far colare miele da ogni fotogramma in modo talmente sobrio e rigoroso da risultare fin troppo asciutto.
Quasi ci fa sentire la mancanza di qualche sospiro in più, dato che la sua cinepresa non si concede neanche un istante oltre il necessario per indugiare sulle scene più romantiche, o sui panorami più coinvolgenti, o sui volti intensi dei bravi protagonisti.
Resta sempre concentrata solo sull'essenza (e solo sull'essenziale) dei giovani e puri Fanny Browne e John Keats.
Lei, figlia maggiore di una vedova, ragazza dal carattere forte, civettuolo e appassionato, che scopre la forza incomprensibile della poesia e il fascino dell'autore, sfidando le convenzioni d'inizio Ottocento pur di vivere liberamente il suo amore.
Lui, spiantato genio incompreso, talentuoso creatore di musica in parole, inconsapevole promotore di un rivoluzionario movimento letterario (il Romanticismo, appunto), che resta incantato, ma anche ispirato, da una fanciulla bella e singolare per la sua lunaticità e avidità di sapere e di passione.
La regista ci racconta l'impossibilità di consumare in pienezza e armonia un grande amore, ostacolato principalmente dai pochi mezzi e dalla salute precaria del giovane poeta, con un'ambientazione e dei ruoli di contorno ridotti all'osso.
Forse compie questa scelta perché non distogliessimo troppo l'attenzione dal cuore pulsante nelle parole dello stesso Keats, che da sole bastano, in un paio di sequenze, a riempire una stanza o l'intero grande schermo.
Per la bravura degli attori (Abbie Cornish è davvero luminosa), per il rigore della forma e per capire cos'è il vero amore romantico (nel senso migliore del termine, che purtroppo abbiamo dimenticato), questo film merita di essere visto.
Magari un filino di miele in più, anche in dose minima, non avrebbe guastato, e se ve lo dice una che guarda volentieri anche un Terminator Salvation o un Fight Club... :-)
Pubblicato anche su MyMovies