Nonostante la grandissima commozione e il grande coinvolgimento che questa pellicola sa suscitare, Hereafter non è privo di difetti.
Come già per il precedente Invictus, noi fan del grande vecchio Clint, rischiamo di uscire dal cinema dicendo:
“Beh...non è Gran Torino.”
Traduzione: non è quel capolavoro che potevamo aspettarci.
Su un piatto della bilancia mettiamo innanzi tutto quello che c'è di buono e, a ben vedere, troviamo parecchi ingredienti, ognuno di qualità sopraffina.
L'inizio del film è travolgente, proprio come lo tsunami messo in scena.
Ci sembra di vivere quegli attimi di panico assoluto come la protagonista. Un gigantesco fiume d'acqua ci trascina via insieme a lei.
Brandelli di “realtà” vengono colti un po' in soggettiva un po' no, con un mirabile impatto d'insieme (grazie a regia/effetti speciali/montaggio/suoni) che porta la nostra compartecipazione a livelli quasi intollerabili, tanto che ci ritroviamo come Marie (giornalista francese vittima della catastrofe) sopraffatti e sospesi tra la vita e la morte.
Questo incipit spettacolare, con la mano felice di Eastwood che si estende anche su una grandiosa scena d'esterno, ci introduce in realtà ad film di introspezione, silenzi, solitudine e mistero dove le storie di tre vite (Marie la sopravvissuta, Marcus il gemello spaiato e George il sensitivo) sono fatalmente portate ad incrociare i loro destini.
La vita dopo la morte e il possibile ritorno da quest'ultima (Near-Death Experiences) è il pretesto per unire queste vite, così distanti tra loro sia geograficamente (Parigi, Londra e San Francisco) che umanamente (lei brillante, ricca e famosa, il bimbo con gravi problemi familiari, il sensitivo in profonda crisi esistenziale).
E' questo che contribuisce a sbilanciare l'attenzione dello spettatore.
Da un lato, in special modo nella prima parte, il film prosegue magistralmente, lasciandoci il tempo di assaporare tutto il gusto dell'introspezione che sa ispirarci, con classe, eleganza, grande emozione.
Dall'altro, crea grandi aspettative, come grandi sono i dubbi e le domande su cui ci induce a riflettere, per poi disattenderle nel secondo tempo con in più un finale che, a parer mio, arriva troppo presto.
Intendiamoci: è un grande pregio di questa pellicola presentare (e con lo stile meraviglioso di Eastwood) determinati argomenti e non è certo compito del regista rispondere pedagogicamente a siffatti misteri.
Ma l'assenza di un buon quarto d'ora di film per scavare ancora più a fondo pesa sulla citata bilancia come un macigno.
Sul fatto che poi la conclusione “di maniera” fosse l'unica possibile si potrebbe ancora discutere: di sicuro era l'unica auspicabile sia per l'ottimo e convincente Matt Damon (George il solitario) che per la bella e brava Cécile De France (Marie la rinata).
Pubblicata anche su MyMovies
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