Dopo aver fallito una missione come cecchino, un marine americano si perde nel deserto afghano, dove finisce col calpestare una mina. In attesa dei soccorsi, dovrà resistere cinquantadue ore senza sollevare il piede sinistro dall’ordigno, sopravvivendo alla fatica, ai pericoli del deserto e ai fantasmi del suo passato.
Quando ho visto il trailer di Mine, e ammetto di averlo puntato solo perché il
protagonista è Armie Hammer (figo, bello e bravo), ho pensato: Ma guarda, hanno
fatto Gravity nel deserto.
Ve lo ricordate Gravity?
Dopo che lo shuttle che stava riparando al suo esterno viene colpito da uno
sciame di detriti, una astronauta si perde nello spazio. Dovrà raggiungere una
stazione spaziale prima di esaurire la sua scorta di ossigeno, sopravvivendo al
terrore, ai pericoli dello spazio e ai fantasmi del suo passato.
Ok, raccontati per logline i film sembrano davvero tutti
uguali, ma, per la fortuna di noi spettatori, il deserto non è come lo spazio e
Mine non è come Gravity.
E’ meglio.
Mine: le sorprese che convincono
Per cominciare, non può certo essere classificato come la solita
mega produzione hollywoodiana, dove il protagonista incappa, con un crescendo
adrenalinico da cardiopalma, in una sequela di sfighe senza soluzione di
continuità e tutte confezionate con milioni di dollari di effetti speciali.
Ora, qui il protagonista è un marine – figura sicuramente
cara a Hollywood, il cast conta una star e attori di calibro internazionale, diversi
ottimi effetti speciali ci sono e, di sicuro, non mancano tensione e impennate
di adrenalina. Ma, sotto tutto questo, pulsa un cuore totalmente italiano.
La prima sorpresa che sta convincendo i connazionali ad
andare in sala (Mine si è piazzato 5°
al Box Office nel primo weekend di uscita, ndr), nonché a condividere post
entusiastici sui social, potrebbe essere proprio questa: i registi del film
Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, in arte Fabio & Fabio.
I due amici, italianissimi, reduci dall’esperienza nei corti
e da una precedente pellicola, anche questa rivolta ad un pubblico fuori dai
confini dello stivale, hanno capito che in Italia non c’è trippa per gatti (ma,
magari dopo Lo chiamavano Jeeg Robot
e Veloce come il vento, le cose stanno
cambiando, chissà) e hanno puntato in alto con qualcosa di più ampio respiro.
E questa è la seconda sorpresa di Mine, il potere della sua storia.
Il deserto come luogo
dell’anima
In questo film, dopo un inizio molto ‘american style’,
l’uomo, con i suoi demoni e le sue emozioni, con le sue relazioni con gli altri
e con l’ambiente che lo circonda, è al centro di tutto.
Questa scelta di scavare nell’animo umano insieme al
protagonista Mike, costretto dagli eventi a guardare in profondità dentro se
stesso, tocca i nervi scoperti dello spettatore, lo rende partecipe, lo
conquista.
E non poteva esserci luogo migliore del deserto per superare
i confini di certo cinema, sempre uguale. Un luogo dove l’orizzonte si sposta
come le dune col vento, spingendo oltre il limite il nostro punto di vista.
Il suo colore accecante, la sua arsura, i suoi miraggi ci
aiutano ad immedesimarci con le pene dell’inferno che Mike/Armie Hammer sta
passando, anche se non siamo marine addestrati come lui.
Il deserto, poi, ce lo possiamo portare dentro in ogni
momento o lo possiamo creare intorno a noi: non è solo un luogo fisico, è un
luogo dell’anima.
E’ in qualche modo parte di ognuno. Nel deserto possiamo
perderci, ma anche ritrovarci.
Il Mady in Italy e la
star di Hollywood
La sceneggiatura, pure questa di Fabio & Fabio, mischia
dunque momenti di azione, tensione, suspense, a molti momenti di forte
introspezione. Questo mix, per certi standard a cui siamo abituati, è un
azzardo.
Si scommette sul fatto che lo spettatore sia disposto a
lasciarsi tanto travolgere dagli eventi quanto a sprofondare negli incubi di
Mike, il tutto senza perdere interesse o partecipazione emotiva in questa altalena,
restando inchiodato alla poltrona come il protagonista è inchiodato sulla
dannata mina.
Senza tagliare di una virgola la loro sceneggiatura, curando
da soli il montaggio per non rinunciare a una sola scena, Guaglione e Resinaro
vincono la scommessa.
Qualche minuto in meno nella sua durata non avrebbe guastato la pregiata fattura del film (è innegabile che sceneggiatura, regia e montaggio siano di primo livello). Ad ogni modo, anche l’indugiare su alcuni momenti della storia che amplificano la morale di Mine, e ci conducono con palpitante attesa verso il suo finale, nulla toglie alla sensazione di trovarsi di fronte a una pellicola diversa dai soliti prodotti.
Questa unicità sarà in parte dovuta proprio al cuore Made in
Italy, che sa rielaborare gli elementi del cinema d’oltreoceano per farlo
proprio senza sminuirne il fascino.
L’altra parte del merito potremmo anche attribuirla al
protagonista, Armie Hmmer, capace fuor di ogni dubbio di reggere la quasi
costante presenza in scena dalla prima all’ultima inquadratura.
Questo ragazzotto californiano ha, tra le altre doti, la totale padronanza del suo sguardo che sa rendere impassibile o angosciato, spietato o disperato, dolce o rassegnato in totale armonia col copione e con il personaggio, proprio come ogni bravo attore dovrebbe saper fare.
Questo ragazzotto californiano ha, tra le altre doti, la totale padronanza del suo sguardo che sa rendere impassibile o angosciato, spietato o disperato, dolce o rassegnato in totale armonia col copione e con il personaggio, proprio come ogni bravo attore dovrebbe saper fare.
Sicuramente la fiducia che questa star di Hollywood ha
accordato alla storia e alla direzione dei nostri due registi è stata
ampiamente ripagata da un ruolo che, così intensamente interpretato, potrà
soltanto aumentare il lustro della sua carriera.
In conclusione
Si può leggere già molto in giro e trovare già troppo
svelato dei segreti della trama, quindi a me resta ancora poco da dire.Cosa state aspettando?
Correte al cinema e lasciatevi travolgere da Mine!
Buona visione!